1° Classificata Sez.A
D’incanti, di preghiere erano i giorni
Ti adoravo padre antico.
Solcavi i campi ombra lenta
e solenne nei chiarori dell’aurora,
mio eroe d’un tempo di falci al vento
e dorate semine nei solchi delle zolle.
Ti ascoltavo mentre parlavi alle tenere
foglie delle viti, chino sulla terra
a disegnare forme e innalzare canti
ai grappoli nati nel respiro di cieli limpidi,
farfalle maculate e fumide campagne.
D’incanti, di preghiere erano i giorni.
Persi nella trama bianca dei sentieri
andavamo nel chiuso mondo dei bagliori,
le fragranze cucite sulla pelle.
Tu il gigante che apriva il ventre delle piane
e sussurrava parole d’amore ad alberi e fronde,
io lo stupore di bambino, fiore tra i fiori,
tra i freschi tornanti della giovinezza.
E adesso non sai quanto mi mancano
le tue mani ruvide di mago tra i capelli,
gli occhi di cielo, quella voce che svelava
misteri e meraviglie di stagioni indenni dal dolore
mentre camminavamo mano nella mano
nell’arancio dei tramonti;
sconosciuta quell’ansia scura dei travagli
che montava lenta nel macero dei sogni.
Di miracoli e leggende mi narravi,
di come si moriva nel rinascere fragranze
ed io a bocca aperta appeso alla parola
che ammaliava di prodigi e promesse
mentre a sera i filari s’accendevano di lucciole
e la vita era tutta là in una gialla luce
di lumi e scintille che sbucava lontana
nel buio carico di stelle.
Carmelo Consoli
Non siamo quel bagliore 2° Classificata Sez. A
Melagrana di sangue è il nostro cuore,
in salita e in discesa, per le scale
del tempo, sui gradini della storia.
Presto sapremo apprendere il silenzio.
Siamo padroni d’un bisbiglio appena
di questa eternità che sfugge al nostro
intelletto di piccole faville.
Ci fruga tra le ciglia ansia di luce.
Ci unisce Iddio nell’unico splendore
degli occhi che rincorrono le stelle,
diversi eppure uguali nei pensieri.
Ah, questa terra di germogli e tombe,
un bimbo afferra l’alba del suo giorno,
un vecchio abbraccia il sole del tramonto,
entrambi nel sigillo d’una lacrima.
Dentro di noi una sorgente scorre
per il lavacro delle nostre pene,
a volte anche il dolore si fa tenera
preghiera, mentre andiamo senza sosta
da un posto all’altro, da un solstizio all’altro,
come azzurre libellule sull’acqua
della nostra esistenza.
Non ci neghi
la vita una memoria di papaveri,
dobbiamo respirare anche il tramonto
se vogliamo scoprire dov’è l’anima.
Non siamo quel bagliore che pensammo,
anche la luce ha mille imperfezioni,
e altro non possediamo, se non questi
fragili corpi per nutrire il cosmo.
Giovanni Caso
3° Classificata Sez.A
Sotto una cupola dimenticata d’oriente
Sono partita verso luoghi amari
dove la terra brucia senza fuochi di tramonto
e chiodi di dolore piovono sui tetti delle case.
Scendendo verso la valle di Allah
le labbra assaporano una poltiglia di sangue e polvere
bevono calici di pini portati dal vento,
grovigli di lacrime si fanno carezze di madri
sui corpi abbandonati tra calcinacci deserti.
Sono in viaggio lungo la ferita frastagliata
della guerra assassina
non c’è Cristo risorto quaggiù.
Senza valigia continuo nell’entroterra
di dolore e passi scorrono bambini vestiti
di bombe e kalashnikov,
cucite sulle bocche finti sorrisi
nessun volo d’aquilone e nessuna caduta in bici
da raccontare
tra le mani solo il vermiglio abito della morte.
Schermiti uccelli senza ali giacciono con il volto
nel fango come fiori di loto.
Qui su queste pareti sterili non attecchiscono
primavere e si perdono i colori,
l’azzurro dei mari diventa cupo e cela sudari di morte.
Occhi neri orfani e mani vibrano in lontananza mentre passi
ancora si fanno strada in varchi di preghiera:
vorrei allungare le braccia, fermare la potente macchina rovinosa
e far splendere il velo della pace,
ma non si placa la rabbia dei soldati.
La terra brucia e si sgretola la pietra
sotto una cupola dimenticata d’Oriente.
Mariateresa La Porta
Cent’anni 1°Classificata Sez.B
Sedevi, oh soldato, appiè del monte
rimirando il cielo ormai non quieto
perso con lo sguardo opposto al fronte
pensavi all’aspro odor del tuo frutteto.
Tu che abbandonasti il Mezzogiorno
sentivi la mancanza dei limoni
sognavi ad occhi aperti nel ritorno
mentre riecheggiavano i cannoni.
Quando entrò il nemico a Caporetto
con tutto lo squadrone in ritirata
piangevi tu, sotto quel triste elmetto
sfiorato dal calor di una granata.
E caddero a migliaia folgorati
per colpa di quel grande piombo nero
non persero mai l’animo i soldati
al grido: “Qui non passa lo straniero!”
Manuel Isaia Poveda